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Urla, risa, corse dietro una palla, abbracci e sorrisi mentre il piccolo Mabula, apparentemente indifferente alla gioia degli altri bimbi che giocavano finalmente con un pallone vero ed alle attenzioni di questi nuovi ospiti muzungu (bianchi), sembrava interessato solo a fare strani segni sul terreno con un piccolo legnetto ed a schivare abilmente le attenzioni di chi provava ad avvicinarsi a lui. 

04 Mabula a testa in giù min

Mabula era arrivato da circa un anno ad Upendo Daima, un Centro che accoglie bambini di strada e che opera per valutare e favorire il re-inserimento nel nucleo familiare o per progettare insieme ad altre associazioni un futuro dignitoso per molti bambini che per diverse motivazioni si trovano a sperimentare una vita di soprusi, di stenti, di violenze, di sfruttamento nelle strade di Mwanza.È stata quella mattina che per la prima volta ho avuto il privilegio dientrare nel suo mondo, quando “in punta di piedi” mi sono unita al 

suo gioco e dopo essere andata alla ricerca di un legnetto più grande del suo e di un bel sasso da collocare nel suo disegno glieli ho portati e lui, pur non alzando lo sguardo dal terreno, ha allungato la mano per accettare il mio dono.

  Ed anche Mabula come gli altri bimbi aveva una storia difficile e speciale. Lui non arrivava dalla strada ma dalla foresta. Il piccolo era stato trovato circa un anno prima dagli abitanti di un villaggio che avevano notato una scimmia che portava sempre con sé uno strano fagottino. Solo dopo diverse settimane e con una modalità purtroppo drastica e dolorosa gli uomini del villaggio erano riusciti a prendere questo bimbo, di circa cinque anni, che così aveva perso anche la sua particolare “mamma adottiva”.

  Arrivato al Centro “Upendo Daima”, Mabula era sofferente, diffidente, schivo, non amava essere toccato, teneva spesso il capo chino e non era strano trovarlo arrampicato ad osservare il mondo a testa in giù.

  L’accurato protocollo pensato con cura dal responsabile del Centro che i bimbi chiamavano “Babu” prevedeva una prima settimana di osservazione, un colloquio conoscitivo utile ad entrare in relazione e acquisire le prime informazioni, la realizzazione di incontri individuali e di gruppo con la finalità di aiutare i bimbi a esprimere vissuti ed emozioni legati alle loro esperienze traumatiche e incontri con i familiari per valutare e sostenere un possibile rientro a casa o il trasferimento in altri Centri in base alle esigenze dei bambini.

04 Mabula Anna e Immacolata cropped min

Per Mabula, “Babu” aveva stravolto il solito protocollo, il bambino aveva bisogno di tempo e gradualità per imparare a stare vicino agli altri, a mangiare seduto ad un tavolo, a lavarsi, a guardare negli occhi, a giocare e a comunicare.

Quando ho conosciuto Mabula tanti piccoli progressi erano stati fatti grazie agli operatori di Upendo e anche ai volontari e alle missionarie AMI, tra cui la dolce Rosamma, che erano riusciti a instaurare un rapporto di fiducia con Mabula, che accettava la loro vicinanza e faceva scappare, nonostante il capo chino, qualche sorriso in risposta alle loro attenzioni.

Ero in Tanzania per il “Gruppo Mese” ma il mio cuore, la mia esperienza di vita e la mia formazione professionale di psicologa, psicoterapeuta e Analista del Comporta

Sapevo che ero solo di passaggio in Tanzania e che il bambino avrebbe avuto bisogno di un supporto costante così chiesi a Immacolata, una giovanissima ragazza tanzaniana che sta approfondendo il suo percorso vocazionale all’interno dell’AMI e che settimanalmente faceva volontariato con i bimbi di Upendo Daima, di affiancarmi con l’obiettivo di mediare il mio rapporto con Mabula e di portare avanti anche dopo la mia partenza un percorso che lo potesse aiutare a imparare a comunicare ed a interagire con gli altri.mento mi chiamavano a fare qualcosa in più per Mabula.

Nell’anno trascorso al Centro Mabula non aveva mai parlato per cui non sapevo se avesse sviluppato il linguaggio o fosse stato allevato nella foresta sin da neonato, ma i suoi sguardi, seppur fugaci, mi dicevano che aveva tanta voglia di comunicare e noi avremmo trovato il modo!

04 Mabula scrive col legnetto per terra min

Dopo più di un’ora, Mabula, che inizialmente stava rannicchiato in un angolo della stanza girato verso il muro, mi ha guardato in viso, si è avvicinato e ha iniziato a sussurrare le prime parole anche con l’aiuto di alcuni disegni creati insieme ai ragazzi del Gruppo Mese che ritraevano figure per lui significative ed elementi della sua quotidianità (una giovane ragazza, una scimmia, alcuni frutti e altri animali caratteristici della Tanzania e della sua vita). Con Immacolata dunque sono riuscita a individuare degli stimoli graditi a Mabula e a trovare il modo per entrare in relazione con lui.

“Dada” è stata la sua prima parola e a seguire la parola gorilla e poi ancora il nome di altri animali e tante altre parole passando gradualmente dal sussurrare al gridarle con gioia.

“Dada” significa sorella ed è così che si fanno chiamare dai bimbi di Upendo Daima le operatrici del Centro, le volontarie e le missionarie AMI che con competenza, rispetto, estrema attenzione ai loro sentimenti e profondo amore li supportano come in una vera famiglia, come sorelle maggiori.  

“Amore Sempre”… amore incondizionato è la traduzione di Upendo Daima e anche la sintesi della bellissima esperienza vissuta con il piccolo Mabula.  Ancora adesso Immacolata e le missionarie AMI portano avanti il percorso con il bimbo e ci sentiamo per aggiornare gli obiettivi e fare il possibile per rendere la vita di Mabula più felice.

PS: Dimenticavo … “Babu” significa nonno e non a caso un uomo speciale e umile nel servire è la guida di questa goccia di speranza in mezzo a molte criticità presenti nella città di Mwanza!

 

                                                                                                                                           Anna Zampino

 

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